A u v e r g n e  2 0 0 1

Diario di viaggio

Una serie di eventi piuttosto antipatici ci costringe a modificare i nostri programmi delle vacanze. Niente piu' Langhe in settembre, combiniamo all'ultimo momento una vacanza a ridosso niente meno che del ferragosto. Per le nostre consuetudini, niente di peggio! Si profila all'orizzonte il menù peggiore delle vacanze: caldo, folla e traffico per strada. Dove andare? Scartata l'Italia (troppo di tutto, meglio lasciar perdere) e le diverse destinazioni dell'arco alpino (Slovenia ed Austria), rimane la Francia. L'esperienza ci dice che il mestiere del turista in Francia è sicuramente più comodo che in qualunque altro posto in Europa: a cominciare dall'offerta di alloggio, e via via per tutto ciò che può rendere tranquilla una vacanza in moto. Così dal cassetto tiriamo fuori un vecchio progetto, il Massiccio Centrale, cioè l'Alvernia, il centro della Francia. Ne avevamo sentito parlare tempo addietro in termini elogiativi e l'avevamo anche attraversata, ai tempi del Morini Treemezzo, di ritorno dai castelli della Loira. Poche le informazioni: la solita Guida Touring in merito è reticente; la Lonely Placet-EDT non migliora il livello delle conoscenze che si fermano a quanto descritto in "Asterix e lo scudo degli Arverni" (ma, appena prima di partire, scopriamo il bel sito molto completo sulla regione). Fatto: in due giorni abbiamo i biglietti del traghetto e abbiamo prenotato la prima chambre d'hote.

Il viaggio comincia bene: cabina "lusso" Tirrenia con tanto di doccia (niente di meglio dopo una Cagliari-Olbia pomeridiana) e vicini silenziosi. Genova ci accoglie afosa e cupa. Vediamo squadre di operai al lavoro per smantellare le strutture del G8 e questo aumenta un po' il senso di malessere. Appena in autostrada comincia la pioggia. Per caso (fortuna?) saltiamo l'ingresso della Genova-Alessandria-Torino e andiamo verso Savona da una galleria all'altra, zigzagando tra file di macchine ferme. Tentiamo la sorte e decidiamo di non indossare gli antipioggia e ci va bene, visto che a Savona smette di piovere. Bene: alla fine sarà il primo viaggio in cui non avremo mai tirato fuori le odiate tute. L'avvicinamento a Puy-en-Velay è la classica "anestesia autostradale" che si conclude in circa 9 ore. L’unico momento degno di nota (e surreale) si svolge al Frejus: mentre siamo in coda per l'ingresso al tunnel, la RAI ci regala il nostro minuto di celebrità con un bel primo piano per noi e la nostra cavalcatura e intervistina al volo: fulgidi esempi di vacanzieri temerari. Il buffo viene al momento di pagare il (salato) pedaggio, quando il casellante, un po' in imbarazzo, ci regala l'omaggio del giorno: un bel paio di tendine parasole da macchina. Finalmente l'arrivo a Cheneville, un luogo appena segnato sulle carte, ma inesistente sotto ogni altro punto di vista: forse sei case, di cui due sono la nostra chambre d'hote. Faticosamente trovata dopo ben venticinque (!) telefonate, ci riserva un buon trattamento ed è gestita da una anziana emigrata italiana, segnalata sulle guide per la cucina (apprezzatissime le "cotolette alla milanese"!!!). Gli altri ospiti francesi sono una professoressa di italiano ed una simpatica produttrice cinematografica (Olmi e Moretti), ovviamente felicissime di parlare in italiano con noi. Divertente oasi linguistica a più di mille chilometri da casa, ideale per fare base molto rilassati per un po' di giorni. Abbiamo infatti deciso di girare la regione cambiando l'alloggio ogni tre giorni: abbastanza per riposarsi e girare scarichi, non troppi per saturarsi degli ospiti o della zona.

Iniziano così le nostre “avventure” in Alvernia. Subito scopriamo una costante di tutto il viaggio. Si chiama "gravillons" e suona BRECCIOLINO. Se ne trova dietro le curve, nei parcheggi, nei rettilinei, in mucchi ed in strati sottili, steso con metodo dagli stradini francesi e lì abbandonato in attesa di impastarlo con il bitume, o forse diabolicamente sparso come dissuasore di velocità. Imparata la lezione dopo un paio di scodate, l'andatura diventa modesta e guardinga. Poco male: il clima è fresco (siamo sui mille metri), i panorami sono bellissimi con piccoli villaggi isolati, ognuno con la propria chiesa romanica o il castello, spesso appollaiati sulla cima di un cono vulcanico come giganteschi nidi di cicogne. Niente di trascendentale, solo molto rilassante: si va, si va… Le strade tagliano boschi a perdita d'occhio; intorno pochi turisti, pochissimi motards e neanche l'ombra di un italiano (attratti da mete sicuramente più note). Girellando così passano tre giornate delle quali mezza passata a pedalare su una "velo-rail", un bizzarro marchingegno consistente in un carrello ferroviario biposto a pedali (recidivi: l'anno scorso avevamo assaggiato la ciclo-rail in Spagna!). Naturalmente la linea è dismessa e non si rischia nessuna scena stile Road Runner & Wiley coyote.

Ci spostiamo verso nord (Clermont-Ferrand, dove nascono tutte le mappe Michelin) e, dopo avere attraversato alcune cittadine termali, saliamo al Puy de Dome. Una strada a pedaggio regola la salita: le macchine restano sotto e salgono solo le moto ed i bus navetta. Dall'alto di questo vulcano spento sembra di potere vedere mezza Francia, ma il piatto forte è la catena vulcanica tutto intorno; è rassicurante saperli spenti! Si fa tardi e proseguiamo ancora scendendo dalla montagna verso colline e ondulazioni via via più morbide. Ormai al crepuscolo stiamo attraversando la grande foresta di Troncais: 10.000 ettari di faggeta fitta che a quell'ora inducono prudenza nel percorrere i lunghi rettilinei. Per due volte avvistiamo i graziosi animali del bosco (daini? cervi?) ma fortunatamente sempre a distanza tale da non doverci. Alla chambre d'hote di Grand Veau (altra borgata di agricoltori) siamo accolti da una cordialissima madame che pare avere in buona simpatia i motards: ci fa parcheggiare al coperto e, il giorno dopo, troviamo il posto spazzato e ripulito da uno strato di insidiosissimi semi di colza (l'equivalente vegetale dei pallini di piombo: brutto averli sotto i piedi in manovra!). Il vicino paese ha un'aria triste e dimessa e solo al ritorno ho scoperto che ci si potrebbe anche divertire con una piccola pista aperta alle moto. Madame partecipa molto all'organizzazione delle nostre scorribande e ogni mattina abbiamo un vero e proprio "briefing" davanti all'atlante Michelin. La foresta di Troncais ha il suo fascino e merita attraversarla, meglio a piedi o in bicicletta. L'ultimo giorno madame ci prepara un vero e proprio roadbook, così quello che doveva essere un trasferimento si trasforma in una immane scorpacciata di chilometri tra dolcissime colline coltivate e i soliti paesini con le solite chiese romaniche Troviamo anche il modo di infilarci in uno straordinario orto botanico specializzato sui fiori. Poco più in là un canale navigabile scavalca la Loira con un ponte (non sempre l'acqua scorre sotto ai ponti) e il caratteristico sistema delle chiuse.

In Francia, non è una novità, i motards godono di considerazione e rispetto diffusi: è stupefacente vedere le macchine farsi da parte per agevolare il sorpasso; i padroni di casa che aprono le proprie rimesse per farti mettere la moto al coperto ("se piove!"); numerosissime le personalizzazioni: vecchie R80 ed R100 in versione cafe racer ("God saves the twins" dice la targhetta su una cattivissima R80 con scarichi in carbonio!); le targhe sono spesso scritte con caratteri di fantasia o in tinta verde Kawa; sono più i TDM con scarichi non omologati che con quelli di fabbrica. Alcuni ristoranti, campeggi e chambre d'hotes dichiarano condizioni di accoglienza speciali per ciclisti e motociclisti. E poi il solito tema dei saluti: perfino la polizia ci ha salutato. Se qualcuno non risponde al saluto si vede dallo specchietto la targa tedesca o italiana. Il paradosso di tutto ciò è che, il giorno in cui la chambre d'hote era occupata solo da motociclisti, ci si ignorava perfettamente durante la colazione. Mah!

Torniamo a sud, sulle montagne. Di passaggio, durante una visita guidata in un'abbazia, il monaco benedettino che ci fa da cicerone ci ricorda di non trascurare che a metà settembre a Magny-Cours ci sarà il Bol d'Or 2001 (e trova anche il modo di dire che *anche* la BMW è una bella moto, ma Ducati ed MV sono un'altra cosa. Ah, la fede!). Attraversiamo ancora le gole della Sioule, immerse nel verde e ci accorgiamo di essere un po' in ritardo. Poco male, perché recuperiamo su un'autostrada con entusiasmanti serie di curvoni in salita da 150 km/h e quindi finalmente su una delle poche strade nazionali degne di un paese civile. Dallo specchietto vedo avvicinarsi un motard. Attraversiamo assieme il paese e quindi mi lascio superare; lui solleva il piede destro per saluto (il sorpassatore educato saluta così!) e parte in allungo. Tento di stargli dietro per copiare le traiettorie, ma quello al primo tornantone ha preso le distanze. Ecco dove erano finiti i motards! Su e giù per questa magnifica strada veloce e panoramica se ne incontrano ancora a tarda sera che corrono, trottano o si fanno l'aperitivo nei bar lungo strada. Douce France... Finalmente troviamo (più che altro per fortuna: il sole tramontava esattamente dietro il cartello indicatore) il nostro nuovo ricovero presso un capraio di montagna, questa volta un po' troppo sperduto. Della breve permanenza vorrei solo citare la giornata buttata a scendere l'alta valle della Loira: raccomandata dalle guide e segnata di verde sulla carta Michelin, è invece uno stradone di valle, senza particolari attrattive, più o meno come potrebbe essere la nostra SS12 fra Trento e Bolzano (è Val d'Adige, ma non per questo ha il dovere di essere suggestivo).

Superata questa tappa è ora di lasciare l'Alvernia e di puntare verso l'Italia. Abbiamo combinato i tempi in modo da concederci un'ulteriore pausa che stavolta spendiamo in Alta Provenza. Ne viene fuori un tappone alpino esageratamente lungo. Ci liberiamo velocemente dell'autostrada ed usciamo a Grenoble. Da qui saliamo a Chamrousse per una magnifica strada che sbuca però su un’orribile località sciistica. Siamo ricompensati dal panorama eccezionale, soprattutto dopo avere preso la funivia per la cresta dei 2250 m: Alpi di Provenza, Delfinato (sembra di toccare la Meije) e, anche se noi non la vediamo, dicono che sia visibile Lione! Una volta scesi, prendiamo per Gap ma presto ne abbiamo abbastanza della trafficatissima Nazionale (il tratto "alto" della Route Napoleon). Mi cade l'occhio su un cartello stradale che indica "bungee jump" all'imbocco di una Dipartimentale. Scendiamo e ci troviamo di fronte ad una specie di catena di montaggio: in 10 minuti assistiamo a tre salti ed altri fanno la fila mentre risaliamo in moto. Proseguiamo lungo la valle della Sautet e finiamo all'imbocco di un'altra stretta gola e, incredibilmente riusciamo a perderci esattamente all'imbocco di questa! Sopravvissuti anche a questa prova (il brecciolino degenera in frana e la strada compie dei giri inimmaginabili per sbucare alla fine su 2 km di cantiere stradale (in altre parole ancora gravillons steso fine fine). Ormai invoco un rettilineo e sono accontentato. Per poco, perché la strada poco dopo rientra nei percorsi del Rally di Monaco; e con questo credo di avere detto tutto (il padrone di casa poi mi dice che in fondo al rettilineo toccano i duecento; io mi considero miracolato sui sessanta). E non è finita: gli ultimi cento metri sono una sterrata franosa che conducono alla Grange Jolie (l'allegra malga?) dove passiamo gli ultimi due giorni delle nostre vacanze.

Urge disintossicarsi dalla moto. Monsieur (stavolta è un anziano marsigliese che fa gli onori di casa: tipo snob, gentilissimo e buon cuoco) ci consiglia un bel giro a piedi da fare sulle creste che sovrastano la casa. Detto fatto: mappa, altimetro e casse-croute, partiamo per un tratto di GR6. Scendiamo a casa 10 ore dopo stracciati ma carichi di lamponi e fragoline di bosco. Condividiamo il raccolto con monsieur e la sua arzilla maman (lui dichiara circa settanta anni, lei potra' averne forse cento, vissuti in piena lucidità e sense of humor) con quest'ultima che si lancia con l'avidità' di un bambino sulla sua coppetta di frutti di bosco. Dopo cena veniamo caricati in macchina e portati al vicino paese dove fanno il "mercato notturno". Cozze fritte e birrette per tutti in un’atmosfera dolce e rilassata di una notte di pieno agosto.

Si parte. Ultima razione di chilometri alla volta dell'Italia: in fretta a Genova oppure ci concediamo qualche divagazione? Manco a dirlo optiamo per la seconda. È il giorno di ferragosto, scelto strategicamente per evitare il grande traffico sulla strada, essendo tutti buttati da qualche parte a strafogarsi di cibo. Risaliamo la costa settentrionale del lago di Serre Ponçon e quindi, dopo le gole della Durance, puntiamo la frontiera italiana al Colle dell'Agnello, 2748 m. La discesa in Italia sembra una sceneggiatura per un film con Alberto Sordi. La Val Varaita è pesantemente assediata da orde di gitanti che stendono la coperta del pic nic nelle più fetide cunette a bordo strada; canottiere, palloni, enormi razioni di cibo passano nelle capienti pance dei Piemontesi colà convenuti. Le stesse scene si ripetono anche alle quote più basse fino alla afosa pianura dalle parti di Brà dove, finalmente, riprendiamo l'autostrada per Savona e Genova. Il cerimoniale ferragostano ci mette al riparo dal traffico ed è tutto deserto. L'epilogo del viaggio è all'Acquario del Porto Antico di Genova: spettacolare, imperdibile! Non facciamo a tempo a visitarlo tutto e dobbiamo correre all'imbarco. L'accesso al terminal traghetti dalla città è diventato un incubo e ci perdiamo tre volte prima di azzeccare il varco. Gli arcigni finanzieri sono stati soppiantati da un surreale megacasello al coperto che ci smista verso il traghetto. A bordo restiamo fulminati dalla novità: marittimi gentili, tutto pulito, spazioso ed efficiente. Ma è proprio la Tirrenia? Addirittura l'odiosa voce degli altoparlanti è stata sostituita da una suadente tonalità priva di inflessioni dialettali. Quasi siamo confusi e non sappiamo come comportarci! Comunque, l'ultima megadoccia del viaggio ce la somministriamo in cabina e presto ci lasciamo andare alla ricerca di un buon sonno ristoratore.