Una
serie di eventi piuttosto antipatici ci
costringe a modificare i nostri programmi delle vacanze. Niente piu'
Langhe in settembre,
combiniamo all'ultimo momento una vacanza a ridosso niente meno che del
ferragosto. Per le nostre consuetudini, niente di peggio! Si profila
all'orizzonte il menù peggiore delle vacanze: caldo, folla e
traffico per
strada. Dove andare? Scartata l'Italia (troppo di tutto, meglio lasciar
perdere) e le diverse destinazioni dell'arco alpino (Slovenia ed
Austria),
rimane la Francia. L'esperienza ci dice che il mestiere del turista in
Francia è
sicuramente più comodo che in qualunque altro posto in Europa: a
cominciare dall'offerta
di alloggio, e via via per tutto ciò che può rendere
tranquilla una vacanza in
moto. Così dal cassetto tiriamo fuori un vecchio progetto, il
Massiccio
Centrale, cioè l'Alvernia, il centro della Francia. Ne avevamo
sentito parlare
tempo addietro in termini elogiativi e l'avevamo anche attraversata, ai
tempi
del Morini Treemezzo, di ritorno dai castelli della Loira. Poche le
informazioni:
la solita Guida Touring in merito è reticente; la Lonely
Placet-EDT non
migliora il livello delle conoscenze che si fermano a quanto descritto
in
"Asterix e lo scudo degli Arverni" (ma, appena prima di partire,
scopriamo il bel sito molto completo sulla regione). Fatto: in due
giorni
abbiamo i biglietti del traghetto e abbiamo prenotato la prima chambre
d'hote. Il
viaggio comincia bene: cabina
"lusso" Tirrenia con tanto di doccia (niente di meglio dopo una
Cagliari-Olbia pomeridiana) e vicini silenziosi. Genova ci accoglie
afosa e
cupa. Vediamo squadre di operai al lavoro per smantellare le strutture
del G8 e
questo aumenta un po' il senso di malessere. Appena in autostrada
comincia la
pioggia. Per caso (fortuna?) saltiamo l'ingresso della
Genova-Alessandria-Torino e andiamo verso Savona da una galleria
all'altra,
zigzagando tra file di macchine ferme. Tentiamo la sorte e decidiamo di
non
indossare gli antipioggia e ci va bene, visto che a Savona smette di
piovere.
Bene: alla fine sarà il primo viaggio in cui non avremo mai
tirato fuori le
odiate tute. L'avvicinamento a Puy-en-Velay è la classica
"anestesia
autostradale" che si conclude in circa 9 ore. L’unico momento degno di
nota (e surreale) si svolge al Frejus: mentre siamo in coda per
l'ingresso al
tunnel, la RAI ci regala il nostro minuto di celebrità con un
bel primo piano
per noi e la nostra cavalcatura e intervistina al volo: fulgidi esempi
di
vacanzieri temerari. Il buffo viene al momento di pagare il (salato)
pedaggio,
quando il casellante, un po' in imbarazzo, ci regala l'omaggio del
giorno: un
bel paio di tendine parasole da macchina. Finalmente l'arrivo a
Cheneville, un
luogo appena segnato sulle carte, ma inesistente sotto ogni altro punto
di
vista: forse sei case, di cui due sono la nostra chambre d'hote.
Faticosamente
trovata dopo ben venticinque (!) telefonate, ci riserva un buon
trattamento ed è
gestita da una anziana emigrata italiana, segnalata sulle guide per la
cucina
(apprezzatissime le "cotolette alla milanese"!!!). Gli altri ospiti
francesi sono una professoressa di italiano ed una simpatica
produttrice
cinematografica (Olmi e Moretti), ovviamente felicissime di parlare in
italiano
con noi. Divertente oasi linguistica a più di mille chilometri
da casa, ideale
per fare base molto rilassati per un po' di giorni. Abbiamo infatti
deciso di girare
la regione cambiando l'alloggio ogni tre giorni: abbastanza per
riposarsi e
girare scarichi, non troppi per saturarsi degli ospiti o della zona. Iniziano
così le nostre “avventure” in
Alvernia. Subito scopriamo una costante di tutto il viaggio. Si chiama
"gravillons" e suona BRECCIOLINO. Se ne trova dietro le curve, nei
parcheggi, nei rettilinei, in mucchi ed in strati sottili, steso con
metodo
dagli stradini francesi e lì abbandonato in attesa di impastarlo
con il bitume,
o forse diabolicamente sparso come dissuasore di velocità.
Imparata la lezione
dopo un paio di scodate, l'andatura diventa modesta e guardinga. Poco
male: il
clima è fresco (siamo sui mille metri), i panorami sono
bellissimi con piccoli villaggi
isolati, ognuno con la propria chiesa romanica o il castello, spesso
appollaiati sulla cima di un cono vulcanico come giganteschi nidi di
cicogne.
Niente di trascendentale, solo molto rilassante: si va, si va… Le
strade
tagliano boschi a perdita d'occhio; intorno pochi turisti, pochissimi
motards e
neanche l'ombra di un italiano (attratti da mete sicuramente più
note).
Girellando così passano tre giornate delle quali mezza passata a
pedalare su
una "velo-rail", un bizzarro marchingegno consistente in un carrello
ferroviario biposto a pedali (recidivi: l'anno scorso avevamo
assaggiato la
ciclo-rail in Spagna!). Naturalmente la linea è dismessa e non
si rischia
nessuna scena stile Road Runner & Wiley coyote. Ci
spostiamo verso nord (Clermont-Ferrand,
dove nascono tutte le mappe Michelin) e, dopo avere attraversato alcune
cittadine termali, saliamo al Puy de Dome. Una strada a pedaggio regola
la
salita: le macchine restano sotto e salgono solo le moto ed i bus
navetta.
Dall'alto di questo vulcano spento sembra di potere vedere mezza
Francia, ma il
piatto forte è la catena vulcanica tutto intorno; è
rassicurante saperli spenti!
Si fa tardi e proseguiamo ancora scendendo dalla montagna verso colline
e
ondulazioni via via più morbide. Ormai al crepuscolo stiamo
attraversando la
grande foresta di Troncais: 10.000 ettari di faggeta fitta che a
quell'ora
inducono prudenza nel percorrere i lunghi rettilinei. Per due volte
avvistiamo
i graziosi animali del bosco (daini? cervi?) ma fortunatamente sempre a
distanza tale da non doverci. Alla chambre d'hote di Grand Veau (altra
borgata
di agricoltori) siamo accolti da una cordialissima madame che pare
avere in
buona simpatia i motards: ci fa parcheggiare al coperto e, il giorno
dopo,
troviamo il posto spazzato e ripulito da uno strato di insidiosissimi
semi di
colza (l'equivalente vegetale dei pallini di piombo: brutto averli
sotto i
piedi in manovra!). Il vicino paese ha un'aria triste e dimessa e solo
al
ritorno ho scoperto che ci si potrebbe anche divertire con una piccola
pista
aperta alle moto. Madame partecipa molto all'organizzazione delle
nostre
scorribande e ogni mattina abbiamo un vero e proprio "briefing"
davanti all'atlante Michelin. La foresta di Troncais ha il suo fascino
e merita
attraversarla, meglio a piedi o in bicicletta. L'ultimo giorno madame
ci
prepara un vero e proprio roadbook, così quello che doveva
essere un
trasferimento si trasforma in una immane scorpacciata di chilometri tra
dolcissime colline coltivate e i soliti paesini con le solite chiese
romaniche
Troviamo anche il modo di infilarci in uno straordinario orto botanico
specializzato sui fiori. Poco più in là un canale
navigabile scavalca la Loira
con un ponte (non sempre l'acqua scorre sotto ai ponti) e il
caratteristico
sistema delle chiuse. In
Francia, non è una novità, i motards
godono di considerazione e rispetto diffusi: è stupefacente
vedere le macchine
farsi da parte per agevolare il sorpasso; i padroni di casa che aprono
le
proprie rimesse per farti mettere la moto al coperto ("se piove!");
numerosissime le personalizzazioni: vecchie R80 ed R100 in versione
cafe racer
("God saves the twins" dice la targhetta su una cattivissima R80 con
scarichi in carbonio!); le targhe sono spesso scritte con caratteri di
fantasia
o in tinta verde Kawa; sono più i TDM con scarichi non omologati
che con quelli
di fabbrica. Alcuni ristoranti, campeggi e chambre d'hotes dichiarano
condizioni di accoglienza speciali per ciclisti e motociclisti. E poi
il solito
tema dei saluti: perfino la polizia ci ha salutato. Se qualcuno non
risponde al
saluto si vede dallo specchietto la targa tedesca o italiana. Il
paradosso di
tutto ciò è che, il giorno in cui la chambre d'hote era
occupata solo da
motociclisti, ci si ignorava perfettamente durante la colazione. Mah! Torniamo
a sud, sulle montagne. Di
passaggio, durante una visita guidata in un'abbazia, il monaco
benedettino che
ci fa da cicerone ci ricorda di non trascurare che a metà
settembre a
Magny-Cours ci sarà il Bol d'Or 2001 (e trova anche il modo di
dire che *anche*
la BMW è una bella moto, ma Ducati ed MV sono un'altra cosa. Ah,
la fede!).
Attraversiamo ancora le gole della Sioule, immerse nel verde e ci
accorgiamo di
essere un po' in ritardo. Poco male, perché recuperiamo su
un'autostrada con
entusiasmanti serie di curvoni in salita da 150 km/h e quindi
finalmente su una
delle poche strade nazionali degne di un paese civile. Dallo
specchietto vedo avvicinarsi
un motard. Attraversiamo assieme il paese e quindi mi lascio superare;
lui
solleva il piede destro per saluto (il sorpassatore educato saluta
così!) e
parte in allungo. Tento di stargli dietro per copiare le traiettorie,
ma quello
al primo tornantone ha preso le distanze. Ecco dove erano finiti i
motards! Su
e giù per questa magnifica strada veloce e panoramica se ne
incontrano ancora a
tarda sera che corrono, trottano o si fanno l'aperitivo nei bar lungo
strada.
Douce France... Finalmente troviamo (più che altro per fortuna:
il sole
tramontava esattamente dietro il cartello indicatore) il nostro nuovo
ricovero
presso un capraio di montagna, questa volta un po' troppo sperduto.
Della breve
permanenza vorrei solo citare la giornata buttata a scendere l'alta
valle della
Loira: raccomandata dalle guide e segnata di verde sulla carta
Michelin, è
invece uno stradone di valle, senza particolari attrattive, più
o meno come potrebbe
essere la nostra SS12 fra Trento e Bolzano (è Val d'Adige, ma
non per questo ha
il dovere di essere suggestivo). Superata
questa tappa è ora di lasciare
l'Alvernia e di puntare verso l'Italia. Abbiamo combinato i tempi in
modo da
concederci un'ulteriore pausa che stavolta spendiamo in Alta Provenza.
Ne viene
fuori un tappone alpino esageratamente lungo. Ci liberiamo velocemente
dell'autostrada ed usciamo a Grenoble. Da qui saliamo a Chamrousse per
una
magnifica strada che sbuca però su un’orribile località
sciistica. Siamo
ricompensati dal panorama eccezionale, soprattutto dopo avere preso la
funivia
per la cresta dei 2250 m: Alpi di Provenza, Delfinato (sembra di
toccare la
Meije) e, anche se noi non la vediamo, dicono che sia visibile Lione!
Una volta
scesi, prendiamo per Gap ma presto ne abbiamo abbastanza della
trafficatissima
Nazionale (il tratto "alto" della Route Napoleon). Mi cade l'occhio
su un cartello stradale che indica "bungee jump" all'imbocco di una
Dipartimentale. Scendiamo e ci troviamo di fronte ad una specie di
catena di
montaggio: in 10 minuti assistiamo a tre salti ed altri fanno la fila
mentre
risaliamo in moto. Proseguiamo lungo la valle della Sautet e finiamo
all'imbocco di un'altra stretta gola e, incredibilmente riusciamo a
perderci
esattamente all'imbocco di questa! Sopravvissuti anche a questa prova
(il
brecciolino degenera in frana e la strada compie dei giri
inimmaginabili per
sbucare alla fine su 2 km di cantiere stradale (in altre parole ancora
gravillons steso fine fine). Ormai invoco un rettilineo e sono
accontentato.
Per poco, perché la strada poco dopo rientra nei percorsi del
Rally di Monaco;
e con questo credo di avere detto tutto (il padrone di casa poi mi dice
che in
fondo al rettilineo toccano i duecento; io mi considero miracolato sui
sessanta). E non è finita: gli ultimi cento metri sono una
sterrata franosa che
conducono alla Grange Jolie (l'allegra malga?) dove passiamo gli ultimi
due
giorni delle nostre vacanze. Urge
disintossicarsi dalla moto. Monsieur
(stavolta è un anziano marsigliese che fa gli onori di casa:
tipo snob,
gentilissimo e buon cuoco) ci consiglia un bel giro a piedi da fare
sulle
creste che sovrastano la casa. Detto fatto: mappa, altimetro e
casse-croute,
partiamo per un tratto di GR6. Scendiamo a casa 10 ore dopo stracciati
ma
carichi di lamponi e fragoline di bosco. Condividiamo il raccolto con
monsieur
e la sua arzilla maman (lui dichiara circa settanta anni, lei potra'
averne
forse cento, vissuti in piena lucidità e sense of humor) con
quest'ultima che
si lancia con l'avidità' di un bambino sulla sua coppetta di
frutti di bosco.
Dopo cena veniamo caricati in macchina e portati al vicino paese dove
fanno il "mercato
notturno". Cozze fritte e birrette per tutti in un’atmosfera dolce e
rilassata di una notte di pieno agosto. Si
parte. Ultima razione di chilometri alla
volta dell'Italia: in fretta a Genova oppure ci concediamo qualche
divagazione?
Manco a dirlo optiamo per la seconda. È il giorno di ferragosto,
scelto
strategicamente per evitare il grande traffico sulla strada, essendo
tutti
buttati da qualche parte a strafogarsi di cibo. Risaliamo la costa
settentrionale del lago di Serre Ponçon e quindi, dopo le gole
della Durance,
puntiamo la frontiera italiana al Colle dell'Agnello, 2748 m. La
discesa in
Italia sembra una sceneggiatura per un film con Alberto Sordi. La Val
Varaita è
pesantemente assediata da orde di gitanti che stendono la coperta del
pic nic
nelle più fetide cunette a bordo strada; canottiere, palloni,
enormi razioni di
cibo passano nelle capienti pance dei Piemontesi colà convenuti.
Le stesse
scene si ripetono anche alle quote più basse fino alla afosa
pianura dalle
parti di Brà dove, finalmente, riprendiamo l'autostrada per
Savona e Genova. Il
cerimoniale ferragostano ci mette al riparo dal traffico ed è
tutto deserto. L'epilogo
del viaggio è all'Acquario del Porto Antico di Genova:
spettacolare,
imperdibile! Non facciamo a tempo a visitarlo tutto e dobbiamo correre
all'imbarco. L'accesso al terminal traghetti dalla città
è diventato un incubo
e ci perdiamo tre volte prima di azzeccare il varco. Gli arcigni
finanzieri
sono stati soppiantati da un surreale megacasello al coperto che ci
smista
verso il traghetto. A bordo restiamo fulminati dalla novità:
marittimi gentili,
tutto pulito, spazioso ed efficiente. Ma è proprio la Tirrenia?
Addirittura
l'odiosa voce degli altoparlanti è stata sostituita da una
suadente tonalità
priva di inflessioni dialettali. Quasi siamo confusi e non sappiamo
come
comportarci! Comunque, l'ultima megadoccia del viaggio ce la
somministriamo in
cabina e presto ci lasciamo andare alla ricerca di un buon sonno
ristoratore. |