Cosi',
a Tunisi al mattino
piove e tira un vento gelido. Decidiamo
di capovogere il nostro itinerario programmato e partire da subito
verso sud in direzione delle piste desertiche...
Si inizia con un po' di autostrada. Si', be': "autostrada" e' una
parola grossa, ma va bene lo stesso. Si va veloci e c'e' poco traffico,
anche se le pecore pascolano a bordo strada e spesso i pedoni
attraversano velocemente la strada. Macchine e fetidi camion circolano
rispettosi anche dopo che l'autostrda termina presso Sousse. All'ora di
pranzo facciamo sosta a El Jem, dove facciamo tappa visitando il
magnifico anfiteatro romano.
Continuiamo verso sud sulla nazionale. La strada attraversa per
chilometri e chilometri oliveti a perdita d'occhio. Siamo in piena
campagna oleicola ed e' fortissimo l'odore delle sanse, nonostante il
casco piu' che chiuso per il freddo. Sembra che a lavorare siano solo
ragazzini e donne, tutte "velate" ma con vestiti coloratissimi; forse
che i maschi adulti sono tutti al caffe'? Piu' probabilmente sono
sparsi in giro per il mondo a lavorare.
Ai margini della strada sono frequenti le macellerie-rosticcerie:
si riconoscono per le pecore squartate appese fuori e il barbeque che
fuma; in alcuni casi, sotto alla pecora squartata, un'altra attende il
proprio turno mentre il macellaio provvede a sgozzarne un'altra. Gente
schietta i Tunisini, mica come noi che affidiamo a impersonali macelli
ed allevamenti industriali la nostra dose di proteine animali... Ancora
seguendo la nazionale lungo la costa giungiamo a Gabes all'imbrunire,
dove facciamo tappa in un pretenzioso quattro stelle vicino al mare (ha
guadagnato una stella e un po' di dinari dopo la redazione della nostra
guida, ormai un po' datata).
Buon anno a tutti!
Pista!
La notte ha piovuto ed il 2004 si apre con la consapevolezza che il
deserto ci attende! L'adrenalina sale ma cominciamo la giornata in
tutto relax proseguendo il giro degli ksour. Visitiamo lo Ksar Ouled
Soltane, a detta di tutti, e meritatamente, il piu' bello e meglio
conservato. Ci fa da guida un ragazzo con un braccio solo che ogni
tanto si offre di prendere la macchina fotografica e scattare una foto
a me e Claudia assieme. Resto colpito dalla disinvoltura con la quale
maneggia la pesante reflex...
Proseguiamo il giro senza fermarci a vistare le ghorfa di Ezzara,
che pure meriterebbero, e puntiamo verso Chenini, altro spettacolare
villaggio berbero. Si mangia in un "pranzificio" per turisti che mi
ricorda molto certi rifugi di valico delle nostre Dolomiti: umido e
caldo di minestre fumanti, finestre panoramiche dalla parte sbagliata,
gabinetti ridotti a cessi dopo il passaggio di qualche comitiva poco
rispettosa (chi sono i "selvaggi", ci siamo chiesti piu' di una
volta...). Le comitive di 4x4 vanno e vengono senza soluzione di
continuita': dobbiamo essere vicini alle piste!
Lasciamo i caschi e la borsa del serbatoio al ristorante e saliamo
al villaggio. I villaggi berberi sono costruiti in fango, pietra e
tetti di palma; si stanno sciogliendo anno dopo anno con le piogge
invernali e, finche' durano, saranno una dei piu' affascinanti punti
del paese maghrebino.
Il tempo vola e cominciamo ad avere fretta: non oso pensare a cosa
possa succederre se il buio dovesse prenderci in mezzo al deserto!
Deserto.
Che parola! Usata a sproposito: "e' un luogo deserto"; "avere il
deserto intorno", ecc.. E' gia' impressionante la steppa infinita che
lo annuncia, con la sabbia che piano piano si mangia tutto. Ma quando
si arriva li', avviene d'improvviso e potrebbe esserci un cartello che
dice "Procedere con cautela: Fine del mondo a 50 metri".
Non posso nascondere l'emozione all'imbocco di questa pista: e'
pomeriggio inoltrato, le ombre si allungano, non c'e' nessuno in vista
e dobbiamo spicciarci.
La pista all'inizio sembra una banale sterrata come ne ho fatto di
peggio anche con l'Erreesse. Tutto qui? Dopo un po' devo ricredermi
quando iniziano le infernali ondulazioni spaccatutto. Dove si puo'
cerco di andare piu' spedito che posso ma presto comincia a vedersi la
sabbia, per fortuna resa compatta dalle piogge degli ultimi giorni.
Rallento, butto giu' la prima e mi infilo deciso nei solchi lasciati
dai 4x4, Qualche volta devo far scendere Claudia e rimpiango di non
avere altri compagni di viaggio in moto con i quali incoraggiarci a
vicenda e tentare qualche "numero" sulla sabbia, ma la prudenza da soli
e' d'obbligo! La sabbia invade sempre piu' spesso la pista e comincio a
preoccuparmi per i tempi. A un certo punto, in lontananza, intravedo
quello che sembra una capanna: non e' un miraggio, e' il Cafe' des
Nomades, un bel riferimento a meta' del percorso per l'oasi. Il tizio
al Cafe' ci costringe letteralmente a scendere dalla moto per
rinfrancarci e ci tranquillizza sulle condizioni della pista, un po'
troppo sabbiosa in quest'ultimo tratto. Vorrei fermarmi di piu', ma il
tempo vola e non siamo attrezzati per bivaccare (peccato, scopriremo
poi...).
Comincio a prendere confidenza con l'ambiente e intanto ci supera
una comitiva di tedeschi; corrono come se avessero il diavolo alle
calcagna, ma in verita' hanno solo i mezzi di appoggio che li attendono
a Ksar Ghilane. Spesso la pista si confonde nella sabbia e partono
diramazioni sospette, forse campo di gioco per i 4x4. Arriviamo ad una
duna taglaita, ultimo ostacolo prima del gasdotto, la pipeline che
taglia da nord a sud il deserto tunisino. Claudia scende ed io parto
sperando di non insabbiarmi a meta' strada, ma tutto va per il meglio e
proseguo per un buon tratto allegramente in mezzo alla sabbia.
Vroooummm!!! Bravo questo Giessino!
Sono le 17.00 quando giungiamo a Ksar Ghilane. L'oasi e'
annunciata dalle baracche dei nomadi (o, a questo punto, ex tali), una
specie di povera periferia dell'oasi riservata ai ricchi turisti
stranieri ed ai privilegiati che ci lavorano.
Che si puo' dire di Ksar Ghilane? Valeva la pena? E' giusto tutto
cio'? Turismo di massa nel deserto. Turisti in maglietta che trascinano
valige trolley nella sabbia; altri (tra)vestiti da nomadi con turbante
d'ordinanza e cappottone berbero (e ci credo: sono arrivati qui in
sandali e maglietta; non hanno studiato a scuola che nel deserto il
clima e' "desertico"?); proteste perche' le tende non sono climatizzate
(!); bambini che sguazzano nella piscina termale calda; foto ricordo
con cammello esposte alla reception; gente parcheggiata al bar in
attesa della cena; babele linguistica e (prevalente) guazzabuglio di
accenti italiani. Dovevo arrivare fin qui per trovare un campeggio come
ce ne sono a dozzine tra Olbia e Alghero?
Intanto il tempo passa aspettando che ci trovino un posto in una
tenda (c'e' il rischio di finire nella tenda berbera: attrazione per i
turisti, trappola gelida se ci devi dormire "dentro", dato che il
concetto di "dentro" in una simile struttura e' piuttosto aleatorio).
Alla fine (sono passate tre ore dal nostro arrivo) ci dicono che
possiamo condividere una tenda da 8 con una coppia di italiani.
Scopriremo poi che questi erano del tutto ignari di questa aggiunta e,
chiarito l'incidente diplomatico con un po' di imbarazzo da parte
nostra per l'involontaria figuraccia (peraltro intera responsabilita'
degli avidi e pasticcioni gestori del campeggio), riusciamo ad avere la
nostra tenda, insperatamente esclusiva. Alla fine, meritato riposo nel
saccopiuma e buonanotte al gelo ed ai turisti in pigiama...
Grigia mattinata. Facce di turisti stravolte e acciaccate per la
notte gelida. nube tossica di 4x4 che scaldano i motori.
Controllo alla moto, grasso alla catena e giro dell'oasi. Ci
fermiamo a chiaccherare con un ragazzo in costume berbero che parla un
disinvolto italiano (ma lui assicura che parla meglio il tedesco, il
tutto senza scuole...): e' uno dei "privilegiati" che lavorano
nell'oasi, nel suo caso accompagnando a cavallo i gruppi dei turisti.
Il tempo e' grigio ed il deserto mi sembrava piu' bello da
lontano...
Chott
el Jerid
Lasciamo Ksar Ghilane percorrendo verso nord per la pipeline lungo la
pista spaccatutto: 80-90 all'ora sulle ondulazioni, con 4x4 assatanati
che vanno e vengono, sabbia ogni tanto e rumori dei piu' preoccupanti.
Grado zero del divertimento. Arrivati sull'asfalto penso di essere
finalmente al sicuro e di andare rilassato, quando una macchina "spara"
un sasso che mi colpisce alla gamba: nonostante le protezioni fa un
malebbestia! A Douz mi fermo a fare rifornimento e scopro di avere
perso uno dei supporti del parafango posteriore che si e' portato via
anche una staffa saldata al forcellone. Dato il trattamento piuttosto
violento (per usare un eufemismo) di questi ultimi 200 chilometri non
mi posso lamentare! Dopo pranzo abbandoniamo volentieri questa brutta
citta', "crocevia del deserto", come e' pomposamente definita nei
depliant dell'ufficio turistico: a quasi tutti gli incroci si trovano
monumenti in cemento che celebrano questo e quello. Tra gli obbrobri
piu' rimarechevoli il cammelliere a spada sguainata e l'inquietante
parcheggio di dromedari al bordo del deserto (il "bordo del deserto" e'
un muretto in pietra con le panchine rivolte rivolte in modo da dare le
spalle al deserto...).
La strada che percorreva la squallida periferia di Douz adesso si
tuffa dentro una palmeraia: uno spettacolo verde che finisce sulla
famosa Nazionale 16 che attraversa i laghi salati, lo Chott el Jerid.
Il sole e' sceso sotto il livello delle nuvole e illumina di una
straordinaria luce radente gli specchi d'acqua nei quali si riflettono
le montagne color ocra. E' un continuo fermarsi e ripartire per fare
foto ed arriviamo a Tozeur e quindi a Nefta con la prima oscurita'.
Alloggio in un mattonificio ristrutturato, l'hotel Marhala, di
proprieta' del Touring Club Tunisino, passabile trestelle che non vale
il giudizio entusiastico della nostra guida.
Chott el
Ghafsa
La mattina il tempo e' splendido e si parte, per una volta a moto
scarica, per il famoso giro del villaggio di Guerre Stellari.
Approfittiamo delle precise coordinate riportate sul gps e ci lanciamo
disinvolti su una pista facile, pur con qualche piccola duna. In breve
arriviammo al villaggio. Qui spuntano dal nulla venditori di collanine
spudoratamente plasticose ("fatte a mano"; si', vorrei proprio vederla
la sua mano nella plastica fusa... satira!!!) e l'immancabile, non
richiesta, guida per il sito. Abbiamo il tempo di visitare il villaggio
e abbandonarlo appena arriva la solita comitiva di 4x4. Il clou del
percorso deve ancora venire. Una gigantesca duna li' vicino sembra
"pettinata" dai fuoristrada che si lanciano in discesa dalla sua
sommita'; sommita' a sua volta dominata da un dromedario accucciato
cosi' immobile da parere finto e simile ai tori del brandy tipici del
paesaggio stradale spagnolo.
La pista corre parallela al bordo meridionale dello Chott el
Ghafsa ed ogni tanto qualche divertente deviazione ci permette di
affacciarci a vedere il panorama. In una di queste e' segnalato un
Cafe' ai piedi della "testa del dromedario", una spettacolare roccia
che sembra effettivamente il gibbuto animale accucciato a godersi il
panorama. La pista va veloce e comincia a salire finche' si impenna
e... precipita nel nulla!!! Mi attacco ai freni giusto in tempo per non
saltare di sotto e mi godo, un po' con il cuore in gola, il panorama
spettacolare da questo trampolino per fuorstradisti fuoriditesta. Con
le orecchie basse torno indietro per un te' alla menta al Cafe' di
prima. Si chiacchera in francese con un cordialissimo ragazzo che ci
intrattiene mentre mamma prepara il te'; i fratellini girano intorno
con maschere e cotillion regalati da qualche fuoristradista passato
prima di noi; un altro fratellino tenta di far partire un Motobecane
che sembra tirato fuori da una discarica e in breve mi trovo coinvolto
a "giocare" al meccanico con l'impianto elettrico di quel rottame.
Purtroppo ho lasciato in albergo parte degli attrezzi dove tengo del
cavo elettrico d'emergenza, ma riesco ugualmente a sistemargli un po'
di cose ed alla fine gli regalo il nastro isolante. Noi ce ne andiamo
con i sorrisi cordiali di questa allegra famigliola e qualche rosa del
deserto in tasca che ci hanno voluto regalare per forza.
Usciti dalla pista (sempre piu' spaccatutto) passiamo a ridosso di
una palmeraia e decidiamo di visitarla per vedere da vicino il sistema
di coltivazione e di irrigazione delle oasi. Ci fermiamo a vedere un
orto e sbuca un "giardiniere" che ci invita ad entrare. La
comunicazione e' elementare, ma ci offre generosamente il te' alla
menta e
sale su una palma a raccogliere dei datteri che ci offre e che
assaggiamo con una certa trepidazione; sono pero' cosi' dolci e "belli"
per come li abbiamo ricevuti che non avrei mai potuto rifiutarli per
nulla al mondo. Fotografie, bonbon, stilo', sorrisi e strette di mano e
ripartiamo verso Tozeur. Passiamo a ridosso di un aeroporto fantasma
dove riposano due Jumbo abbandonati, presenze decisamente fuori luogo.
Mentre il cielo ingrigisce (ma non e' proprio grigio, sembra il colore
della sabbia che viene dall'Algeria e che piano piano si sta mangiando
la Tunisia) rientriamo a Nefta per visitare la Corbeille, la grande
conca, interamente occupata da una palmeraia, al margine settentrionale
della citta'. Un giovanotto si avvicina e si propone come guida. Si
vede che non abbiamo scelta e giriamo con lui. Parla molto bene
l'italiano e ci spiega la tecnica di coltivazione dei datteri e i cicli
di coltivazione all'interno delle palmeraie che iniziano dopo la
raccolta dei datteri nella stagione invernale. La Corbeille un tempo
era solcata da canali e vi era un laghetto termale (si percepisce
sempre un caratteristico odore sulfureo), ma adesso, pare, gli alberghi
stanno captando le sorgenti e le palme stanno addirittura seccandosi!
Ripenso alla mia doccia della sera prima...
Torniamo in albergo a raccogliere i bagagli e ripartiamo in
direzione delle oasi di montagna, quelle montagne che vedevamo dal
giorno prima brillare al di la' dello Chott. Il sole spunta di nuovo da
sotto le nuvole mentre attraversiamo lo Chott el Gharsa e siamo ancora
piu' conquistati dai giochi della luce al tramonto. Il sole cala quando
saliamo al valico che separa Tamerza da Chebika (che purtroppo
attraversiamo velocemente). Siamo senza parole e... senza pellicola! Ci
siamo fatti fuori piu' di un rullino al giorno e adesso dobbiamo
comprare quello che si trova per strada.
Ci fermiamo in un "Palace hotel", un bel quattrostellelusso
ma forse, se avessimo trovato il "rustico" hotel Le cascade
saremmo stati piu' contenti. Registrazione alla reception, welcome con
te' alla menta e cameriere che ci porta la zozzissima Maxia mentre
l'altoparlante suona la marcia trionfale dall'overture della Gazza
Ladra di Rossini. La vista dalla veranda della nostra stanza,
affacciata sul villaggio berbero abbandonato, valeva la spesa. Molto
meno la cena e il contorno chiassoso dei vacanzieri stile boldiedesica.
Di nuovo
in citta': Kairouan
La vacanza si sta chiudendo. La mattina visitiamo Tamerza, facciamo un
salto a Mides (bella, per quello che abbiamo visto da fuori) e quindi
prendiamo la direzione nord est. Passiamo per sbaglio troppo a ridosso
del confine algerino e vediamo spesso camionette dell'esercito e posti
di blocco della polizia. Veniamo anche fermati da un poliziotto che
maneggia significativamente una banconota da 10 dinari, ma ne usciamo
indenni dopo che compare il suo superiore...
Ancora una volta con condizioni di luce spettacolari giungiamo a
Sbeitla dove visitiamo le splendide rovine del sito romano (a chi piace
il genere, un motivo sufficiente per andare in Tunisia!) e, ormai al
buio, entriamo a Kairouan. Decente albergo (un trestelle dall'aria
equivoca e poco pulito ma, tutto sommato e considerato quel che sta
intorno, accettabile, anche perche' mi lasciano parcheggiare la moto
nel loro cortile) e cena in un ristorantino poco lontano, frequentato
solo da Italiani.
"Ultimo
giorno di fiera!"
Il giorno dopo la visita del souk e dei monumenti di Kairouan e'
disturbata dal continuo e assillante ronzare dei procacciatori
d'affari, anche se alcune stradine laterali, prive di interesse per i
turisti, permettono di rilassarsi un po'.
Torniamo a Tunisi in autostrada. Gli operai puliscono a mano uno per
uno i catarifrangenti sui guardrail. Troviamo la citta' un po' piu'
trafficata di come l'avevamo lasciata. Un procacciatore di dice che e'
"l'ultimo giorno" della fiera dell'artigianato e non riusciamo a
nascondere l'ilarita'. Comunque giriamo (be', "girare" e' una parola
grossa; diciamo meglio "facendosi trascinare dalla corrente") per il
souk e facciamo ora per partire alla volta del porto. Qui, con un po'
di fortuna, percorriamo il percorso a ostacoli dell'espatrio con
interminabile attesa del traghetto e ripetuti quanto inutili controlli
di passaporto.
Note di viaggio
Un viaggio in Tunisia non richiede
capacita' organizzative particolari.
La scelta della stagione e'
soggettiva: basta evitare il periodo delle tempeste di sabbia
(aprile-maggio) e va tutto bene. L'inverno e' mite, ma nel deserto,
come ho detto altrove, il clima e' "desertico": di notte la temperatura
precipita sempre. D'estate lascerei perdere...Dal punto di vista delle
formalita' basta il passaporto in regola e che la moto sia intestata al
guidatore. Assicurazioni integrative (tipo Europassistance) possono
essere utili, dato che trovarsi in difficolta' e' piu' facile di quel
che si possa credere...La rete stradale tunisina, per quello che
abbiamo visto noi, e' decente, non certo peggiore di tante strade che
si trovano in molti paesi europei, Italia compresa. Segnaletica
efficace e indicazioni in francese sempre presenti. L'asfalto e' un
mangiagomme di prima classe ed il rettilineo domina: non andate in
Tunisia se cercate quelle belle curve raccordate che vi piacciono
tanto! Quindi, se si parte con una moto stradale (c'e' sempre
comunque tanto da vedere senza lasciare l'asfalto) e' meglio
attrezzarsi con delle gommacce dure.
Il comportamento dei Tunisini al
volante, lontano dall'essere irreprensibile, mi e' sembrato nel
complesso corretto per i nostri standard. Comunque, massima attenzione,
soprattutto all'imbrunire.
Mai un problema con la popolazione:
avrei piu' paura a lasciare la moto parcheggiata in centro in una
qualunque citta' italiana che in molti dei posti dove l'ho lasciata in
Tunisia. Mai avuto problemi con i bambini lanciasassi di cui si sente
spesso parlare; spesso al nostro passaggio raccoglievano qualche cosa
da terra, ma forse era un gesto scaramentico al passaggio di questi
"diavoli rombanti"; per il resto, passare piano nei centri abitati e
salutare quando capita: un sorriso apre tutte le porte!
L'unica seccatura possono essere i
procacciatori di affari a Tunisi ed a Kairouan (mai, in ogni caso,
essere sgarbati); a tal proposito suggerirei di lasciarsi la visita di
queste due citta' alla fine, per non guastarsi da subito l'opinione che
ci si puo' fare della gente del posto. Il discorso mance e compensi e'
complicato: e' difficile scampare alle guide, ma ancora di piu' e'
complicato rifiutare una mancia, soprattutto se consideri che quei
dinari (a fine viaggio l'equivalente in euro di una cena in pizzeria)
possono avere scaldato una casa o contribuito a cambiare un paio di
scarpe.
Un enduro resta la moto ideale. Il
Giessino si e' comportato piu' che bene: comodo, stabile, affidabile,
caricabile e maltrattabile (almeno per i miei modesti standard).
Insomma, in poche parole, un ottimo compagno di viaggio. Nel bagaglio,
grasso per catene, due camere d'aria, una busta degli atttrezzi
allargata ad un po' di materiali extra. Ho trascurato di portare con me
un cavo frizione di riserva, ma ne avevo controllato le condizioni
prima di partire (ma al prossimo giro non manchera' di certo!). Unica
nota dolente, l'interfono che ha taciuto per tutto il tempo (tester e
saldatore a stagno non ci stavano proprio!). La rottura del parafango
posteriore la considero un pedaggio piu' che modesto, visto gli
strapazzi sulle ondulazioni delle piste a 80-90 all'ora. Mi preoccupa
invece che abbia ceduto la relativa staffa di fissaggio saldata al
forcellone, cedimento che pare si riscontri con una certa frequenza.
La temutissima sabbia del deserto
(dalla consistenza del borotalco) non sembra essere arrivata in punti
critici come le estremita' dei cavi frizione e acceleratore ed altre
simili parti. Le uniche modifiche approntate prima
di partire sono state un portapacchi Givi, un manubrio in ergal,
paramani seri e presa supplementare da 12 v (tipo accendisigari) per
alimentare il gps.
A proposito di gps: utile ma non
essenziale, dato che anche le piste che abbiamo percorso noi erano ben
segnalate; faceva pero' piacere avere sott'occhio la distanza stimata
dal punto d'arrivo. La mappa (edizione World Map Geo-Center comprata a
Tunisi) si e' comportata egregiamente, anche migliore della De Agostini
dimenticata a casa e, ad occhio, forse migliore della Michelin. La
guida, una EDT vecchia di qualche anno, ci e' stata di una minima
utilita' per gli alberghi ma, come sempre per le Lonely Planet,
assolutamente deludente nella descrizione delle localita'. Ci e' stato
di una discreta utilita' un articolo pubblicato da Mototurismo la
scorsa estate, mentre un altro articolo piu' vecchio era assolutamente
inutile.
Nel nostro bagaglio, una quantita' di
biro, un pacchetto di sigari e dei cioccolatini da regalare al bisogno.
Sempre qualche spicciolo in tasca per le mance.
Nessun problema di alloggio, sempre
puliti, anche nei duestelle e, paradossalmente, abbiamo dormito peggio
nei due quattrostelle dove ci e' capitato di sostare! Comunque, se si
tornera' (come ci auguriamo!) sara' meglio essere attrezzati per il
campeggio: il bivacco desertico chiama!
Il cibo e' buono, almeno fuori dagli
alberghi.
Quanto alla spesa, per mangiare si
puo' spendere tra i 4 e i 10 dinari a testa, mentre per dormire una
doppia con prima colazione varia tra poco meno di 40 e i 190 dinari
(quattrostellelusso). A proposito di costi, la super spb, sempre
reperibile a distanze di scurezza tra un distributore e l'altro, e' a
770 millesimi di dinaro. Per la valuta, abbiamo prelevato agli
sportelli bancomat e cambiato una sola volta in banca senza
commissioni. Pare, ma noi non ne abbiamo avuto esperienza, che l'euro
sia normalemente accettato, perfino come mancia.
_________________________________
(C) 2004, Stefano Olla ollars@motosardi.org